PALAIA, ADDIO ALLA PANCHINA: "lascio, con ricordi indelebili". La nostra intervista
Il saluto del medico che per 36 anni ha "curato" il Lecce
SQUINZANO - Dopo 45 campionati, 2mila panchine tra calcio e basket, Giuseppe Palaia dice basta, abbandona la panchina (FOTO SOPRA AL SUO POSTO, DURANTE LA PARTITA DEL TRENTENNALE DELLE VECCHIE GLORIE DELLA 1° PROMOZIONE IN SERIE A).
Un'uscita di scena improvvisa, con uno scatto degno dei tempi d'oro quando polverizzava la pista di atletica da giovane podista.
L'annuncio è arrivato in una conferenza stampa a Brindisi, dove nell'ultima stagione ha seguito i cestisti della ENEL Basket Brindisi, con la solita professionalità che l'ha contraddistinto anche nei 36 anni precedenti al servizio dell'Unione Sportiva Lecce. Dove anche senza segnare gol ha lasciato un segno indelebile nella storia centenaria del club. SoloLecce.it ha raggiunto al telefono Palaia, per questa intervista.
Titoli di coda - "Siamo ai titoli di coda. Ho trascorso un periodo lunghissimo in panchina, ma ora devo dedicarmi all'attività del centro fisioterapico gestito dai miei figli, che mi hanno chiesto un maggiore impegno e coinvolgimento nel loro progetto. Non avrei avuto più la possibilità di seguire l'ENEL al palazzetto ogni giorno, dunque è corretto farsi da parte".
Emozioni forti - "Dei 36 anni vissuti con il Lecce porto dentro 2 partite soprattutto: nella 1° non c'ero, quella del 30 ottobre 2005, Lecce-Messina, in cui la Curva Nord mi omaggiò con uno striscione di incoraggiamento mentre non c'ero in panchina per un problema di salute. E' stato un gesto che ho apprezzato molto e porterò sempre nel cuore. Dal punto di vista delle emozioni calcistiche, invece, l'emozione più forte è legata a quel Lecce-Torino 3-1 del 1989, con accanto Carletto Mazzone in panchina, nel giorno della 1° salvezza in Serie A. Un'emozione indescrivibile, unita a una splendida amicizia con il mister, che è continuata sempre e continua ancora, anche se Mazzone è stato a Lecce solo 2 anni e mezzo".
Indomito - "Ma sia chiaro: anche se non andrò mai più in panchina la mia divisa di lavoro resta la tuta di allenamento, non certo il camice...".
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