Svegliamoci tutti: è un Lecce che ci mortifica
Vergogna e pietà per alcune prestazioni dei singoli
Al momento in cui scriviamo la ferita è ancora aperta, c’è ancora il sale dell'ennesima mortificazione allucinante, della pietà umana che intenerisce il cuore in un sentimento di commiserazione davanti al dilettantismo patetico di alcune prestazioni dei singoli.
Al momento in cui scriviamo non si sono ancora arrovellati nel trovare scuse gli analisti sopraffini del << c’è sempre una colpa da dare a qualcuno >>, del << diamola ai gufi maledetti >> e del << non tutto è perduto crediamoci, armiamoci e… partite >>.
Le analisi dei fenomeni da baraccone ancora tardano ad arrivare e allora le anticipiamo noi: << troppe assenze >>, << troppo poca una settimana per dare una forma al nuovo Lecce di Pagliari >>, per << metabolizzare immaginifici schemi e tattiche che vedrete ci faranno spaccare il mondo molto presto >>.
E poi…, metti che << c’era freddo >>, che << c’erano pochissimi spettatori allo stadio e pure incazzati con i nostri beniamini, che non sono stati sostenuti abbastanza! >> (poi leggi altre cronache da libro “Cuore” che riferiscono di una << “buona cornice di pubblico >>, un’affermazione che è un insulto all’intelligenza o peggio una panzana grottesca). No, no, così non si fa, stringiamoci a coorte, Tesoro chiamò.
La “pancia” della gente, invece, dice cose diverse e come quando si è digiuni inizia a mormorare. Digiuni di risultati, di punti in classifica, ma soprattutto di BUON GUSTO. Sì, il Lecce oramai non ha neanche il buon gusto di rendersi presentabile e vincente al cospetto del Martina Franca, dell’Ischia, della Lupa Roma, persino della temibilissima Vigor Lamezia, che in 110 anni di calcio a Lecce non era venuta neanche in gita. Una Vigor Lamezia modesta quanto una squadra di Eccellenza Pugliese, in 10 e pure mezza scassata, con 6 assenze e nel borsone di altri 3 o 4 le sirene del mercato.
Sì dirà: cosa recrimini? È la nostra dimensione attuale. Sì, è vero siamo da Serie C. Sì ma lo siamo proprio tutti tutti, eh, nessuno scappa. A titolo di piccolo esempio qui da noi le divise di gioco si presentano nelle calde serate agostane e poi vanno in campo per la prima volta in una squallida notte di inverno, 5 mesi dopo, che neanche a farle arrivare a piedi... La nostra dimensione.
Raschiamo ogni giorno il fondo del barile. E il semi-professionismo coinvolge anche tutto un ambiente con le coscienze anestetizzate, almeno sino a poche settimane fa.
Eppure ieri persino la Tribuna Centrale (oltre alla Curva Nord) ha iniziato a mormorare pesantemente.
È il termometro di una luna di miele finita, che ha fatto venire fuori tutte le rughe più brutte. 3 fallimenti tecnico-sportivi no, Lecce non li vuole. Sveglia per tutti, ricreazione finita, i trombettieri finiscano di dilettarsi nei loro squallidi solfeggi. Lecce dorme, sonnecchia nella sua essenza barocca, ma poi se si sveglia si ricorda di avere una spina dorsale e si rialza. Almeno ci prova.
Allora è bene correre ai ripari, fare qualche investimento (o mamma mia che parolone), ricordarsi che quando si opera sul mercato prima ci si assicura di non lasciare un settore scoperto e poi si agisce in uscita, prima si è certi del come rimpiazzare qualcuno (Carini) e poi lo si vende; altrimenti il diavolo ci mette la coda, l’influenza ti ferma un centrale titolare e la sorte ti rende obbligato a presentarti con gli impresentabili. In fondo basterebbe pensare che non è il calciomercato della PlayStation, ma quello vero, dove a ogni operazione deve corrispondere una logica, una “mission” tecnica. Suggerirlo a chi dovrebbe saperlo è sconfortate.
Tutto è sconfortante. Un tunnel senza uscita di delusione e amarezza, che ammazza, dilania e distrugge anche l’amore dei più forti. Stando tra la gente si respira questa cappa. Sentiamo questa disaffezione disarmante di cui non parla nessuno, che uccide anche l’affetto di chi pensavi che non avrebbe mai abbandonato la nave con i suoi amati colori. Non abbandoniamola tutti. Schettino ce n'è stato già uno, ed è bastato all’Italia. Noi siamo ancora in tempo, e per molto meno perché non si tratta di vite umane ma di storie di sport.
Siamo ancora in tempo tutti. Tesoro, padre-figlio-figlie-mogli, squadra, tecnico, magazzinieri, tifosi. In tempo per non mandare in malora e nella vergogna assoluta oltre 100 anni di storia. Si agisca. Senza chiacchiere.
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